Buonasera, offro a voi la recensione di un libro che mi sta piacendo molto.
RECENSIONE LIBRO DI A.MORAVIA “UN’IDEA DELL’INDIA”
PRIMA PARTE
Il libro tratta la visione dell’India di Moravia carpendo i punti di vista dell’indiano il quale descrive la nazione come opposta all’Europa. Difatti, l’India è religiosa a differenza dell’Europa.
Il nostro secondo l’indiano è quel continente dove l’uomo è convinto di esistere e di essere al centro del mondo dove l’azione è preferita alla contemplazione e dove la scienza e la politica sono prese seriamente a differenza della religione.
Gli indiani riconoscono nel medioevo europeo la loro Europa come periodo storico più religioso mentre poi si è giunti al Rinascimento che l’India invece chiama Decadenza.
Essi pensano che gli Europei inventivi per quanto riguarda la scienza e la politica mancano di creatività nel campo della religione.
In Europa si è giunti a un compromesso dove gli abitanti hanno conciliato la religione con le loro esigenze; difatti essi non sono religiosi.
Hanno fatto della religione una giustificazione della vita quotidiana, un ornamento, una comodità che non serve a nulla.
L’India è il paese della religione, dove ogni culto vive una situazione esistenziale; non è il paese di una singola o più religioni ma quelle presenti sono ugualmente considerate, in India anche se non ci fossero sarebbero vive. L’India è il paese della religione ed esse sono dei compromessi tra più persone.
La religione si fonda sul rapporto sessuale a cui i popoli affidano le divinità come stati di beatitudine interiore e quindi i balli, i simboli e le cerimonie si consumano attorno al sesso dove i paesani veneravano tale atto propizio a generare nuova prole.
Nell’India tutto è religione, anche i poveri dei vicoli di Calcutta, dormienti e prossimi alla morte sono raffigurati nelle maestose necropoli, i castelli dove nascono le divinità sono costellati da rovine ossia nulla può raggiungerli. In India tutto è religione dai vestiti, uomini e donne, la ricordano continuamente, ma anche i commercianti dei bazar, il Taj Mahal che pare un polpo immerso nell’acqua. Lo stesso Shiva il vero dio, colui che ha un volto realistico ma ancora non realmente conosciuto è rappresentato in una grotta con tre profili: uno benevolo, l’altro distruttore e un altro conservatore. Ma per gli Indiani tutto è religione o è rappresentato in essa. Dapprima gli inglesi che l’hanno colonizzata ma anche gli altri europei che hanno tentato di colonizzarla.
Ma anche senza gli europei, l’India sarebbe ugualmente il paese della religione dove Dio non è raffigurato come un uomo, ma in una maniera più mistica e surreale agli occhi nostri, ma più simile al reale Dio per loro: Shiva. Shiva è appunto tutto: benevolo, conservatore e distruttore allo stesso tempo. Sa essere affettuoso ma anche malvagio come sa conservare gli aspetti positivi dell’uomo per tramutarli in nuove e proficue verità. Shiva è l’essere della verità colui che sa tutto e sa come si svolgono le cose anche se in origine era però solo ed aveva paura dell’altro.
La concezione della vita in India è che tutto ciò che sembra reale non è reale e viceversa, l’uomo non deve agire per migliorare il mondo ma per uscirne ed entrare in simbiosi con la realtà spirituale nel miglior modo.
La religione è positiva per quanto riguarda la realtà spirituale e negativa per quanto riguarda la realtà dei sensi e materiale.
SECONDA PARTE
Una sera, in India
Moravia ci parla del suo viaggio in India tra i boschi in pace e in campagna. Qua lo accolse una guida con un cobra da mostrargli in segno di saluto, ma all’autore fece solo compassione. Cosa puoi intimorire mediante un animale velenoso se non sei capace di intimorire te stesso con le tue parole?
Moravia nota che i buoi e gli animali in India sono più piccoli che in Europa ma i paesani da oltre duemila anni hanno mantenuto l’abitudine di far trainare il fieno da dei buoi indiani, dei piccoli bovini per noi. Essi, dallo sguardo buono, ormai sono animali domestici lì così come altri. In India molti paesaggi sono monotoni come molte vedute celesti. Così come Moravia vide tra i boschi lo stesso panorama celeste così in campagna vedrà più volte l’immagine dei buoi trainati dai contadini. I contadini indiani si differenziano da quelli che vivono in città i quali si sono lasciati fagocitare dai capitali e dal capitalismo.
Un indiano per fattezze dei volti somiglia più a un Europeo con un’umanità espressiva e pronta sui volti, a differenza degli enigmatici asiatici.
La famiglia di campagna che muove il carro pare allegra e spensierata, soprattutto i bambini, adornati di fiori in capo. Invece la loro spensieratezza ha un termine che culmina con l’adolescenza quando l’uomo diventa più pensieroso e riflessivo, più stanco.
In India è abituale vedere mendicanti o zingari chiedere l’elemosina e ciò è considerato normale a causa della diffusa povertà.
Spesso s’intravedono zingari e mendicanti tra le strade e ciò è normale essendoci una grave situazione di miseria. L’indiano non vede nel rom qualcosa di eccezionale, ma lo vede come una persona qualunque, come tanti ce ne sono in India: dai bambini privi di vestiti e incurati alle donne anziane malconce.
Anche la città di Aurangabad dietro un’apparenza opulente con tante luci accese e venditori ambulanti tra le strade in realtà nasconde tanta miseria e incuria che brulica scesa la notte.
Gli acquirenti dei venditori tra l’altro, dall’apparenza sfarzosa, non sono altro che gli stessi contadini che vengono dalle campagne di cui i venditori non si aspettano un loro acquisto. In India dunque è tutto apparenza che nasconde la miseria.
TERZA PARTE
I roghi di Benares
La concezione della vita in Europa e in India è differente: come dice A. Schweitzer nella prima è prevalente l’affermazione dell’uomo con l’aspirazione a renderci utili nel mondo e nella società tramite il progresso, nella seconda la negazione della vita dove essa è considerata una commedia alla quale partecipare come un pellegrinaggio attraverso il Tempo fino all’Eternità dell’aldilà.
In Europa quest’ultima concezione prevalse nel medioevo mentre in India in quel periodo si faceva strada il progresso scientifico e tecnologico anche se poi esso mutò con il rinascimento europeo che gli indiani chiamano decadenza.
Mentre in Europa il terrore della morte è vivo e vi è l’aspirazione all’immortalità, in India vi è l’aspirazione all’annientamento attraverso l’ascesi all’eternità ossia il Nirvana con la pace dei sensi.
Se è vero che sia gli indiani che gli europei preferiscono la vita alla morte, si può dire che nel continente indiano si sente il suo odore ovunque mescolato alla corruzione dilagante che traspare da ogni città indiana.
Addirittura sul lungomare di Bombay essi venerano la dea della morte, Kalì di fronte alla quale s’inginocchiano e pregano come se il mare trasportasse le loro anime verso il Nirvana.
Ma a Benares ,ove scorre il fiume Gange, la morte assume forme ancora più stupefacenti: la sera tardi all’imbrunire tra fuochi accesi vengono portati i corpi morti su una barca per farli cremare, per purificarli nelle acque del fiume affinché possano trovare la beatitudine eterna.
Ma vi gettano anche malati di lebbra ed anziani; ciò non è visto come qualcosa di spietato, ma come un cambio d’abito. Nel fiume e con il passaggio dall’aldilà i loro corpi e le loro anime trovano la pace dei sensi e rinascono, secondo la concezione indiana, nell’eternità.
QUARTA PARTE
Nehru l’intellettuale
L’India dopo secoli di despotismo è stata colonizzata dagli inglesi. Essi, dominavano arrecando gli ideali occidentali di democrazia ma fallirono il tentativo d’insediarli a motivo del predominio dell’imperialismo mercantile mescolato con il dispotismo indiano. Il viceré era un insieme di ciò creando quindi in India una forma di governo che esaltava il patriottismo britannico dominato dalla casta bianca inglese e il pugno di ferro derivato dai precedenti domini indiani.
Vi erano numerosi monumenti storici che esaltavano l’imperialismo britannico disseminati per il paese mescolati gli usi e i costumi autoctoni.
Dunque Nehru giunse al potere dopo l’indipendenza dalla Corona britannica riuscita grazie ad intellettuali come Ghandi. Nehru era un pensatore che così come Lenin basava le sue idee su dogmi intellettuali senza sfociare in demagogia.
Egli non si vantava per l’adorazione delle masse nei suoi confronti e pensava a un’India liberale prendendo come esempio l’Italia del Risorgimento. Così come dieci anni dopo l’unità d’Italia vi erano ancora i fautori di un’Italia liberale così in India esistevano ancora dieci anni dopo coloro che riuscirono a strappare l’India ai britannici.
Nehru era un socialista e vedeva nel socialismo una sua visione per una società indiana egualitaria: pensava a una brahmanizzazione della società, lui che faceva parte della casta di intellettuali brahmani.
Avvicinarsi al capitalismo era ancora difficile essendo l’India particolarmente ostile alla concezione occidentale riguardo alla scienza e alla politica.
Moravia tramite il ministro degli esteri italiano Giusti incontrò Nehru, il primo ministro indiano. La sua figura suscitava notevole fascino e lo differenziava dai dittatori ai quali si poteva soltanto confermare le solite cose. Nehru non era solo la persona che rappresentava l’India, ma era anche un intellettuale e ciò arrecava una carica di attrazione spirituale verso quella figura così colta e importante.
QUINTA PARTE
La moglie di Jinnah
Moravia nelle strade di Bombay e Calcutta vide numerosi uomini accalcati e dormienti presso i marciapiedi, come animali. Questi senzatetto sono poveri profughi dal Pakistan e dal Bangladesh, figli di un nazionalismo spietato, senza occhi di riguardo. C’erano due correnti: quella brahmana di cui faceva parte Ghandi e quella musulmana cui apparteneva Jinnah. Il nazionalismo indiano faceva leva sulle religioni, la prima si basava sulla filosofia e sulla metafisica, la seconda sull’etica e sulla politica. L’islam era a differenza della religione brahmana poco tollerante: ciò scatenò dei dissidi interni dovuti anche a usi e costumi differenti; per i brahmani ad esempio le vacche sono sacre, per i musulmani no.
L’Islam si abbattè sull’India in modo cruento dove distrusse numerosi templi brahmani e introdusse il proselitismo cercando di convertire a forza gli abitanti, tuttavia edificò dei monumenti come già fatto in Sicilia e in Spagna.
Dei dissidi tra le religioni, si servirono gli inglesi per fini di dominio.
Il capo dei musulmani Jinnah aveva avuto due mogli: una che morì senza averla mai conosciuta essendo stata rappresentata dai parenti, l’altra da cui ebbe un figlio lo abbandonò per motivi poco conosciuti e morì di una grave malattia.
Le circostanze attorno alla seconda moglie ,ossia l’umililiazione per l’abbandono e la morte, aggravarono il carattere di Jinnah tant’è che divenne duro e intransigente e ciò portò alla rottura con l’India e venne creato il Pakistan.
Ciò scatenò cruenti lotte: da una parte gli intoccabili che desideravano nella conversione all’islam una rivalsa, dall’altra i brahmani del Punjab feroci anch’essi.
SESTA PARTE
Trauma del politeismo
Per il viaggiatore occidentale in India vi sono due traumi: l’uno riguardo alla povertà frenetica di tipo medievale, l’altro con la religione politeista da secoli non più esistente in Europa ma fiorente in India.
La natura nuda e cruda è presente nei templi induisti: entrando in uno di essi sembra per l’europeo di entrare in posti dimenticati e passati da secoli.
Un esempio è il tempio di Madurai ai cui lati cardinali stanno edificate quattro gopuram, torri riempite di sculture magnifiche.
Il tempio è una specie di mercato sacro aperto a tutti i rumori della vita dove la vita frenetica viene raffigurata.
A Mappaluram invece la realtà è l’abbandono dove il tempio in riva al mare sta morendo, corroso da esso, come vuole la religione tornerà in un’altra forma.
Nella parte piccola del tempio vi è la statua del dio Shiva ove vi è contrasto tra le tenebre dell’interno e la luce risplendente tropicale e anche Shiva sta morendo abbandonato dalla religione.
SETTIMA PARTE
Un viaggio in India
In un paese uniformemente immenso le città sono come dei bazar o assembramenti di botteghe di tipo medievale piene di povertà e prive di un disegno urbanistico. L’India è la nazione più originale dell’Asia intera piena di fascino, ma può essere anche una delusione. Gli incantatori di serpenti e i domatori di orsi si fanno vivi in strada e poi spariscono al giungere delle corriere stracolme di persone. Nel nord dell’india vi sono fiumi a volte senza ponti cosí capita in strada di trovarsi nei pressi delle sponde di un fiume bloccati. I traghetti lenti e arrugginiti trasportano le persone da una sponda all’altra. Dappertutto è diffusa la povertà.
OTTAVA PARTE
La povertà
In India la povertà è una cosa comune, quasi un tratto costituzionale. I mendicanti facilmente si inseriscono in società, la povertà indiana si vede soprattutto nelle città fondate dagli inglesi come Bombay e Calcutta.
Non è mai esistita l’India prospera, a causa non tanto dell’Islam o del dominio inglese, quanto nel sistema razziale delle caste.