Recensione libro di Evaristo S. Andreoli-Paradigma di esse

Il libro è una raccolta poetica in cui l’autore attraverso i suoi componimenti ripercorre la sua esistenza: il passato, il presente e con uno sguardo al futuro.

Nella prima sezione intitolata Sum, il poeta ci parla di come abbia passato un’esperienza travagliata dove ora solo riesce ad apprezzare le piccole cose lasciandosi andare o ai sorsi del vino o alle partite di tennis. Egli è un uomo come gli altri, con un vissuto mondano di cui forse si pente, nella piattezza della quotidianità dalla quale riesce ad uscire grazie alla forza delle parole poetiche, della sua poesia. Ma egli vive la sua decadenza, la caducità della stessa vita come un campanello d’allarme dove trova nell’ombra del tempo che lo perseguita una paura. Egli ha paura della morte, del tempo. E allora andando a vedere tra le sue poesie troviamo la prima (Nell’Ombra) vi è un nemico: il tempo.
E velatamente dunque la morte. Il poeta dimentica il suo nemico attraverso il vino del bicchiere onde perdersi e ammira la natura (il tramonto) con occhi offuscati, inebriati per dimenticare il futuro e lasciare scorrere la sua esistenza assaporando sorsi di vino rosso oppure in (Campo da tennis) dove ci vengono messi in risalto la fatica dell’uomo, gli sforzi compiuti quotidianamente per vivere e anche per lo svago: il tennis.
Lo sport fa evadere il poeta dai turbamenti quotidiani, immersi nella natura di Mantova e ricorda dov’è nato il sommo poeta Virgilio per sottolineare come l’ambiente in cui si trova si presta all’arte poetica.

Egli ricorda appunto la caducità della nostra stessa esistenza in altre poesie (Le mie parole) in cui  vi è l’accostamento della parola a varie immagini. La parola al giorno d’oggi ha perso significato e si scioglie, muore in breve tempo come una cicala. Il potere di essa viene soffocato, qui l’accostamento all’estate, da un’esistenza che cancella l’uso della parola e così quella dell’autore.
Nella seconda parte il poeta afferma che le sue parole si vendono alla moda, ai costumi, al quotidiano e perciò divaga attraverso l’incoscienza ossia il vino e inutilmente tratta la natura (i colori della farfalla).
Nella terza parte viene ribadita l’astensione all’uso delle parole, ormai inutili perché non comprese dalla società. Cerca di evadere in un mondo dove si predicono tante cose, si dice tanto, ma non si ha la vera certezza.
Infine, paragona sè stesso a uno scoiattolo che si nasconde, fugge nella natura dalla decadenza quotidiana, dell’incomprensione delle sue fragili parole, appunto. E lo stesso pensiero si ripete in (Presso la fontana): Il componimento parla di una società frenetica, dove non c’è spazio per un attimo di pace, per cogliere i colori e i suoni della natura. Soltanto lo sgorgare d’acqua della fontana porta freschezza a un mondo arido di sentimenti e vuoto. Infine abbiamo un cogliere gli aspetti della natura e correlarsi con il futuro dunque con la morte: abbiamo diverse poesie in tal senso (Mi domando) in cui il poeta si domanda il significato della vita, ora vicino alla terza età, il futuro che lo attende dopo aver combattuto innumerevoli scontri nell’arco della sua esistenza. Si domanda il senso della vita, del destino, e non trova nulla di tangibile, di appurato se non il suo pensiero. Quindi la ragione e l’intelletto dunque governano sulla nostra vita laddove il fato può decidere, senza motivo apparente o senza esitazione, di spezzare la nostra esistenza e portarci nel Caos, ossia nello spazio infinito dell’universo senza contorni definiti. Dunque, il poeta si domanda cosa c’è di concreto tra un destino inspiegabile e una natura cosmica altrettanto laddove il movente, l’origine e il significato sono ancora da scoprire. Sono le domande che si pone la filosofia da secoli. Oltre a ciò un’altra poesia ci viene incontro (Pomeriggio d’estate) ove egli si trova ad aspettare una novità dalla piatta vita che vive: il calore.

Canta, per stemperare le attese, illuso dalle aspettative. Intanto il tempo consuma le porte e le grate delle finestre, inflessibile, consuma lui stesso la vita cui rimembra la paura della morte.
Ma la natura muta, si trasforma, nel corso dell’esistenza ed è al passo con essa andando incontro alla morte senza timore. Superata la paura della morte, egli dà uno sguardo al suo paesaggio in contrasto con la sua infanzia in (Campane) dove sente il suono dell’infanzia, le campane della chiesa del suo paese. Rammenta i giorni di festa dove la vitalità gorgogliava, anche da parte di chi proveniva dalla campagna.
Ma ora ciò sta morendo “papaveri recisi” “rosso ormai quasi nero” dove il nero offusca il rosso e l’azzurro del cielo di giorno con la notte ove è piombato il paese, in attesa di un nuovo gorgoglio.
Quindi tutti i valori di fratellanza, unione, senso del lavoro e di appartenenza sono ora pressoché scomparsi. Una prima sezione che racconta la decadenza dell’esistenza, sofferta e dolorosa per tutto ciò che stiamo vivendo, ma che ci pone degli interrogativi su come muovere il nostro futuro.

Nella seconda sezione intitolata Es vi sono poesie dedicate all’amata del poeta, Carmen. Egli la ricorda in ogni attimo, mescolandola con la natura (Nel viso è la luce, Carmen, Prima) o con la dea Nausicaa presente nelle opere di Omero. La rimembra di notte, al compleanno e di nuovo la paragona con la natura dove affiora verso le ultime poesie della sezione un sentimento di acuta mestizia per la perdita dell’amata.

L’ultimo componimento (Postulato) segna il riepilogo della sezione dove l’autore vorrebbe perdersi nei boschi e ricongiungersi a lei in cielo. Dunque una sconfitta, dove il suo ricordo rimane impresso nella mente senza scivolare via.

Penso invece che un uomo non deve farsi abbattere dall’amore perso ma lottare per star bene con sé stesso e trovare la beatitudine nelle proprie capacità, nelle piccole cose oppure in un’altra donna accettando il rischio di una nuova delusione.













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